Equilibrio lavoro – vita privata in smart working
Nel 1930 l’economista J. M. Keynes aveva ipotizzato che nel nuovo millennio le ore di lavoro settimanali si sarebbero ridotte da 40 a 15 grazie all’evoluzione della tecnologia.
Purtroppo, le previsioni di Keynes si sono dimostrate errate: non solo l’orario di lavoro settimanale non si è ridotto, ma le nostre vite sono diventate sempre più frenetiche a causa dell’avvento del pendolarismo, che a volte ci dimentichiamo essere un’invenzione tutta moderna.
Tuttavia, il 2020 ha portato dei cambiamenti epocali sia per quanto riguarda la gestione del lavoro che per quanto riguarda la gestione della vita privata. Nel suo libro The Business of Pandemics, Dave Cook si meraviglia di quanto profondamente il nuovo status quo abbia shakerato le nostre vite, di quanto dessimo per scontate le nostre abitudini e fa una riflessione rispetto al fatto che non è poi così ovvio ritrovare un buon equilibrio in questo nuovo scenario.
La pandemia e il conseguente lockdown globale, ha infatti portato degli effetti collaterali inattesi, sia in positivo che in negativo. E come diceva Charles Darwin
Non è il più forte o il più intelligente a sopravvivere, ma colui che si adatta meglio al cambiamento.
Vediamo allora quali sono alcuni di questi effetti collaterali inattesi e a volte anche…indesiderati!
La nuova frontiera del lavoro: lo smart working.
All’inizio del 2020 il lavoro da remoto stava lentamente prendendo piede, tuttavia il mondo era decisamente lontano dall’essere pronto per andare in massa in smart working. Prima, infatti, solo il 12% dei lavoratori Americani lavorava da remoto full time, solo il 6% in UK e solo lo 0,8% in Italia.
Tuttavia il Covid ci ha costretti a premere l’acceleratore e mentre le vecchie consuetudini quali il pendolarismo, le riunioni in presenza, il timbro del cartellino, le malattie e le vacanze sono cadute una dopo l’altra effetto domino, nuove abitudini ed opportunità si sono presentate.
Uno dei risvolti più stravaganti è stato quello dei visti speciali per lavoratori in smart working. Alcune nazioni, soprattutto paradisi tropicali quali le Barbados, Dubai, le Bermuda, e tanti altri hanno messo a disposizione questi Remote-Work Visas per incoraggiare i lavoratori in smart working a spendere il lockdown – e i loro soldi – al mare anziché rinchiusi in semi-prigionia nel loro piccoli appartamenti cittadini.
Questa soluzione è risultata essere molto allettante soprattutto per coloro che per ragioni lavorative si ritrovavano a spendere dei capitali per affittare un minuscolo appartamento in una delle città più care al mondo, quali per esempio Londra o San Francisco. Adesso che non è più possibile recarsi in ufficio, partecipare a conferenze o anche solo godersi la night life che queste città tipicamente offrivano, perché rimanere?
Ma non tutte le novità sono state altrettanto gradite, quantomeno non da tutti. Infatti, mentre le vecchie consuetudini venivano gradualmente smantellate, una processione di nuove tecnologie ha invaso le nostre case.
Anche i più avvezzi all’uso del computer si sono dovuti adattare alle nuove norme: imparare a padroneggiare il galateo di Zoom, imparare a scrivere email compassionevoli e nondimeno imparare a bilanciare in uno stesso luogo responsabilità lavorative e familiari, e la lista continua.
Ma di fronte a statistiche molto tristi – le Nazioni Unite hanno previsto la perdita di 195 milioni di posti di lavoro – nessuno ha osato lamentarsi della possibilità di poter continuare a lavorare da casa.
Con la pausa estiva ci eravamo illusi che il peggio fosse passato, ma appare ora evidente che il più grande esperimento di lavoro da remoto nella storia umana, più che un esperimento rappresenta la nuova normalità.
Equilibrio e disciplina: sopravvivere allo smart working.
Google, Apple e Twitter, sono state le prime a chiudere i propri uffici e a mettere i propri impiegati permanentemente in smart working. D’altronde le aziende della Silicon Valley, notoriamente progressiste, da tempo davano la possibilità ai propri dipendenti di giostrarsi il lavoro in maniera flessibile, a patto che il raggiungimento degli obiettivi non fosse compromesso.
Nel 2021 concetti come Distributed Working, ovvero l’idea che i propri impiegati siano distribuiti sui diversi territori di interesse, e Hybrid Working, ovvero un mix tra lavoro a casa e lavoro in ufficio, saranno sempre più diffusi.
Ma la maggior parte dei paesi e delle aziende sono arrivati ben meno preparati alla nuova normalità rispetto alle big tech. Secondo una ricerca quadriennale che ha raccolto dati riguardo agli habitué dello smart working, grosse riserve di autodisciplina sono necessarie perché questo modo di lavorare possa davvero funzionare.
Il rischio è quello di perdere l’equilibrio, di fare troppo o troppo poco e di andare in burnout, ovvero di avere un esaurimento nervoso professionale.
Contrariamente a quanto previsto – e forse anche temuto – da molti datori di lavoro, la maggior parte delle persone si è ritrovata a lavorare molto di più di quanto non facesse quando andava in ufficio.
Oggi questo rischio risulta evidente e addirittura molti dichiarano che tornare in ufficio sembra un miraggio, un lusso. Il motivo è che la vecchia routine aiutava – obbligava – le persone a dare una struttura alle proprie giornate.
È pertanto plausibile che nel 2021 le conversazioni attorno al “come disciplinare la propria routine” si intensificheranno. Già a Maggio 2020 molti avevano denunciato un affaticamento da Zoom.
Ingenuamente qualcuno aveva previsto l’arrivo delle “buone maniere virtuali”, ma purtroppo pare che la maggior parte di noi rimanga spesso incastrato in infiniti meeting a volte neppure troppo utili. Zoom e affini hanno simultaneamente salvato e appesantito la nostra routine lavorativa.
Andare al lavoro: il paradosso del pendolarismo.
Gli smart workers, grati di avere ancora un lavoro, hanno spesso riportato di provare il cosiddetto senso di colpa del sopravvissuto (survivors’ guilt). E così molti hanno cominciato a lavorare qualche ora in più tutti i giorni con l’intento di continuare ad assicurarsi il proprio posto di lavoro.
Il gruppo di ricerca eWorkLife, che si occupa di individuare le migliori abitudini per un buon equilibrio tra lavoro e vita privata, ha evidenziato che spesso le ore di lavoro aumentano quando la fine della giornata lavorativa non è scandita nettamente.
Attività come l’uscire dall’ufficio assieme ai propri colleghi, il tornare a casa, o anche timbrare il cartellino, sono segnali ovvi che la giornata lavorativa è finita e che inizia il tempo per la vita privata.
Una delle osservazioni più sorprendenti è che molti dei lavoratori che inizialmente avevano dichiarato che evitare di “dover fare avanti indietro da lavoro” era uno dei maggiori benefici del lavorare da casa, hanno successivamente riportato di aver cercato di ricreare dei mini-viaggi da fare dentro le propri abitazioni per avere la sensazioni di recarsi al lavoro. Questa tendenza sottolinea la necessità di creare una netta divisione tra lavoro e vita privata.
La leader del progetto eWorkLife, la Professoressa Anna Cox, sottolinea come nel 2021 la questione dell’equilibrio lavoro-vita privata debba essere riconosciuta come una questione di salute pubblica, tant’è che il gruppo eWorkLife sta facendo pressione agli organi competenti inglesi perché ciò accada.
Equilibrio vuol dire diritto di disconnettersi.
Cos’è successo al tempo che prima usavamo per spostarci da un posto all’altro? Molti lo utilizzano per sbrigare questioni burocratiche e per recuperare e-mail lasciate indietro. Questa potrebbe sembrare una buona abitudine, ma in realtà è uno dei trend più preoccupanti.
Già prima della pandemia, molti denunciavano una sempre più invadente cultura del lavoro 24 ore su 24. I sociologi sostengono che i lavoratori moderni vengono sempre più associati ai propri smartphone: se il telefono è raggiungibile, lo è anche la persona.
Per contrastare questa tendenza malsana, nel 2016 ai lavoratori francesi è stato dato il diritto legale di disconnettersi dal lavoro, di non rispondere a chiamate o email al di fuori delle ore lavorative.
Nel 2021 si auspica che l’attivismo porti aziende e governi a rivedere e chiarire le nuove politiche per il lavoro da remoto. Oltre a Twitter, altre 17 società hanno annunciato che i propri dipendenti potranno lavorare da remoto a tempo indeterminato e così molti degli uffici e delle capitali del lavoro si stanno svuotando.
Ma il 60% delle aziende statunitensi non ha ancora reso note le proprie politiche sul lavoro a distanza, mentre gli smart workers continuano a lamentare che, finché le nuove regole non saranno chiare, pianificare il futuro risulta impossibile.
Il defunto attivista David Graeber ha descritto il mancato raggiungimento della settimana lavorativa di 15 ore di Keynes come un’opportunità persa. Il COVID-19 potrebbe aver avviato un processo di cambiamento alla fine del quale lavoro e tempo libero saranno meglio bilanciati. Ma non sarà facile. E dovremo lottare per questo.
A cura di Alessandra Bonini